«Il 28 giugno mi sembrava troppo vicino per approvare la riforma del lavoro alla Camera senza modifiche.
Ma poi il partito, con Bersani e Franceschini, ha proposto di risolvere il problema chiedendo un impegno preciso sugli esodati. Quindi la prospettiva è cambiata».
Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, prende atto della scelta politica del partito ma resta della sua idea.
Testo blindato, dunque?
"Non c`è margine per una modifica, altrimenti bisogna tornare al Senato. Ma in tutti ormai c`è la consapevolezza che andranno fatti interventi anche rilevanti, temo già nella prossima legislatura".
Insomma, questa riforma è una sorta di contentino per i mercati e le istituzioni europee?
"Non proprio perché ci sono dei punti molto positivi e altri che invece vanno modificati in maniera significativa. Penso ai parasubordinati e alle partite Iva che con la gestione separata subiscono forti aumenti percentuali di pressione fiscale senza che per i lavoratori interessati siano previsti i benefici della mini-Aspi.
Per non parlare dell`indennità di mobilità e del capitolo delle politiche attive del lavoro che va totalmente riscritto: si rinvia ad una delega che non conosciamo ancora".
Voterete anche l`eventuale fiducia?
"È possibile ma noi non abbiamo bisogno della fiducia per votare il provvedimento. Questo tema riguarda gli altri partiti. Se qualcuno farà ostruzionismo o se il Pdl non garantirà il voto dei suoi deputati, toccherà al governo valutare la situazione".
Ma la bocciatura degli imprenditori non pesa come un macigno?
"C`è stato un difetto nella gestione della riforma da parte del governo nel rapporto con le parti sociali. E anche per questo sarebbe stato importante che il Parlamento, che non è autoreferenziale, avesse modo di intervenire.
Questa sistematica limitazione delle sue possibilità di intervento si ripercuote sul dialogo governo-forze sociali".
La Fornero ha aggiunto altri 55mila lavoratori all`elenco degli esodati da tutelare: soddisfatti?
"È un passo in avanti ma ce ne vorranno altri per garantire tutte le lavoratrici e i lavoratori che in base ad accordi individuali o sindacali, hanno acettato di uscire dal lavoro e che oggi rischiano di ritrovarsi senza pensione".
Ichino dice che i 60 anni non garantiscono il diritto alla pensione visto che l`età media si è allungata.
"Il problema non è questo ma quello di garantire persone che non hanno scelto di lasciare il lavoro liberamente, per di più in uno scenario in cui non è stato fatto nulla per migliorare i servizi per l`impiego. E' assurdo che lo Stato rispetti i patti con i grandi evasori che hanno riportato in Italia parte dei loro soldi e non faccia altrettanto con chi ha lavorato onestamente per mille euro al mese".