Lo abbiamo scritto più volte e lo ripetiamo anche oggi: il punto non è
Monti. Oggi
Eugenio Scalfari, su
Repubblica, elogia grandemente il premier. Il giudizio secondo me è eccessivamente positivo, ma
l'editoriale ha il merito di ricordarci qual'era la situazione in cui ci trovavamo:
"Tre mesi fa eravamo sul ciglio di un baratro, la credibilità del nostro Paese era scesa sotto il livello dello zero, dalla finanza e dalla tenuta del debito pubblico emergevano sinistri scricchiolii; la recessione dell'economia reale era già evidente e così pure il malessere sociale dei ceti più deboli, delle famiglie e del Mezzogiorno. Il Nord dal canto suo aveva cessato da tempo di "tirare" ed anzi avvertiva un disagio sociale crescente".
Sulla necessità dell'esperienza Monti, quindi, nessun dubbio. Un partito, però, ha anche il compito di disegnare una prospettiva per il futuro e, in questo senso, la
riflessione di
Gianni Cuperlo pubblicata ieri dall'
Unità mi pare da tenere in grande considerazione, soprattutto per quanto riguarda questo passaggio:
"È su questo che l'Europa si gioca il suo avvenire. E per quanto ci riguarda pure l'America democratica. Se dalle diseguaglianze immorali travestite di modernità degli ultimi sei o sette lustri si uscirà con un nuovo patto politico e sociale tra economia, finanza e democrazia. O se preferite, tra Stati, mercati e persone. Sarà uno scontro niente affatto moderato, nei toni come nelle soluzioni. E l'idea stessa della politica, come strumento agibile per milioni di individui, ne risentirà. Anche perché cresce l'onda lunga di una riciclata teoria delle élites, figliastra di vecchie scuole e invaghita oggi di una "tecnica" spacciata come neutra, ma in realtà intrisa di pregiudizi e di una concezione aristocratica del potere. Ecco, mi parrebbe curioso che mentre l'universo dei "democratici" su scala globale si interroga e si spende in questa partita, noialtri ci si scarnifichi sulla foto di Vasto.
Al diavolo Vasto e le foto. Siccome conviene passare dal muto al sonoro, a me pare decisivo rispondere a una sola domanda: ma noi siamo parte di quella ricerca, e dunque vogliamo tenere aperto il dialogo, prima di tutto in Italia, con forze, culture e movimenti che si collocano da questa parte del campo, oppure siamo dannati ancora una volta nel girone degli sperperatori del proprio talento e soprattutto consenso? Il tempo non abbonda e una risposta va data".