E' più complicato per il Pd sostenere il governo dopo le ultime uscite di Monti sull'articolo 18? «No», risponde Enrico Letta «per un motivo molto semplice: finora non c'è stato un solo atto deciso dal governo che sia in contrasto, anche solo potenzialmente, col nostro programma. Dopo tre mesi è chiaro che avevamo ragione noi, lo
spread è sceso e mentre l'Italia di Berlusconi era un problema per l'
Europa oggi
Monti ci porta accanto a
Francia e
Germania».
Sì, ma sul mercato del lavoro? «Monti ha detto che non ci sono
tabù ed è un giudizio che condividiamo perché anche noi abbiamo detto che il tema dell'
articolo 18 è l'ultimo da affrontare all'interno di una
complessiva riforma del mercato del lavoro».
Susanna Camusso ha detto che una riforma senza raccordo con le parti sociali sarebbe ingiusta. «Noi auspichiamo un accordo e personalmente sono convinto che un'intesa possa esserci. Sono fiducioso nel vedere le
parti sociali unite e sono certo che il governo lavorerà su questa sintonia».
Sergio D'Antoni ha scritto su questo giornale che se la riforma non sarà condivisa dalle parti sociali il Pd deve votare contro: condivide? «La riforma del mercato del lavoro è uno dei pilastri dell'intesa complessiva raggiunta, non prendo neanche in considerazione l'ipotesi di votare no».
Nel senso che dovete votare sì in ogni caso? «No, nel senso che non è neanche immaginabile che una riforma di questo tipo possa essere fatta senza l'
intesa tra i tre
soggetti politici che in Parlamento
sostengono il
governo. Non esistono maggioranze "à la carte", variabili, con Pd, Pdl e Terzo polo alleati due contro uno in modo diverso a seconda dei temi. Sui pilastri di questo governo, e cioè
rigore nei conti pubblici,
riforme strutturali e
crescita, ci deve essere un'intesa di tutti e tre i soggetti politici».
E se non ci fossero le condizioni per un'intesa? «Vorrebbe dire che è finita la maggioranza e di conseguenza la vita di questo governo. Monti questo lo sa e non si arriverà mai a una situazione in cui una delle tre forze che lo sostengono sia costretta a votare contro».
I margini per future intese si restringono dopo il voto sulla responsabilità civile dei giudici e il riemergere dell'asse Pdl-Lega? «Non devono. Gli ultimi giorni hanno chiaramente dimostrato quello che penso da sempre, e cioè che non c'è una
simmetria tra
Pd e
Pdl, come in questi tre mesi si è voluto dare a intendere, con un governo sostenuto dal Terzo polo come motore politico e da due partiti, Pd e Pdl, distanti dall'esecutivo che subiscono entrambi la situazione. Questo è un racconto, spesso avvalorato da alcuni anche in casa nostra, profondamente sbagliato. Tra noi e Pdl c'è una profonda asimmetria. Primo, perché il fallimento di questo governo costerebbe più a noi che a loro, perché vorrebbe dire che tutto sommato non era Berlusconi il problema. Per il Pd è
fondamentale che il
governo Monti abbia
successo. Il secondo fattore di asimmetria lo vediamo dai sondaggi. Non solo perché da questa situazione il Pdl perde consensi mentre noi ne guadagniamo. L'
80% dei nostri elettori sostiene il governo Monti, mentre solo il 40% degli elettori del Pdl sono su questa posizione».
Bersani ha detto «non ci lasciamo prendere in giro» e il Pdl ha reagito aspramente: fibrillazioni che minano la tenuta del governo? «Bersani ha fatto bene ad alzare il tono della nostra presenza politica perché l'accoppiata del voto sulla
responsabilità civile dei giudici e sulle nom
ine del Cda Rai due temi non casuali ha chiaramente messo in evidenza il fatto che il Pdl è andato oltre le regole che ci siamo dati. Questo non può accadere perché rischia seriamente di far saltare il banco».
Come si può evitare il ripetersi di simili situazioni? «Creando una cabina regia politica nella maggioranza. Monti e i segretari delle forze che lo sostengono devono vedersi più spesso per prevenire
contraddizioni e
problemi. E questo è soprattutto nell'interesse del Pd, perché poi alla fine siamo noi a pagare il prezzo più caro».
Ora Berlusconi vi propone un patto per riformare la legge elettorale: la sua opinione? «Noi siamo obbligati ad andare a vedere. Il cambiamento della
legge elettorale è per noi più che per tutte le altre forze politiche la priorità delle priorità. Senza il
referendum bisogna lavorare in Parlamento per far sì che non ci sia più il
Porcellum. Farlo senza il Pdl è difficile se non impossibile».
Berlusconi fa però capire di puntare a un sistema bipartitico. «No, per la
legge elettorale vale il discorso dei tre pilastri del governo, non si può tagliare fuori il Terzo polo. Bisogna andare a vedere per capire se si tratta di un bluff o di un'apertura reale ma il patto va fatto a tre perché il governo si regge su uno schema come questo».
Dice che siete obbligati ad andare a vedere ma ci sono i precedenti della Bicamerale di D'Alema e del confronto avviato a fine 2007 con Veltroni... «Abbiamo un modo semplice per capire se Berlusconi è serio: accetti di
cominciare il confronto dalla
Rai, visto che tra un mese finisce la pantomima del Cda. Se ha un senso quello che dice partiamo da una riforma seria della
governance della Rai. Proprio per questo denunciamo come contraddittorio e inquietante quanto accaduto sulle nomine alla direzione del
Tgl e del
TgR, votati da Pdl e Lega. Berlusconi accetti di partire da qui e di impostare il cambiamento della legge elettorale entro Pasqua. Allora capiremo se è credibile e se quel che dice ha un senso o se siamo alla terza presa in giro».
Parla di credibilità: quella della politica ha subito un altro colpo, con la vicenda Lusi. Lei che dice? «Il punto essenziale è che la magistratura faccia tutto quello che deve fare. Per quanto riguarda la
Margherita, si decida in tempi rapidi di far tornare i soldi allo Stato, messe in sicurezza le strutture esistenti (penso per esempio al giornale "Europa"). E poi ha ragione Bersani, bisogna approvare in fretta una legge sui partiti. Questa vicenda mostra che è necessario attuare l'articolo 49 della
Costituzione, che servono una certificazione dei bilanci dei partiti e regole che garantiscano la massima trasparenza».